A come Auto-Organizzazione in Osteopatia

Nell’affrontare le tematiche relative all’Osteopatia, occorre tener presente che essa, in realtà, è ben lontana dall’accezione che la colloca in ambiti fisioterapici e riabilitativi. Fino a qualche tempo fa, i presupposti del trattamento osteopatico traevano linfa dal concetto che il corpo manifestasse sintomi in relazione alle diverse noxae patogene, oppure in conseguenza all’attivazione di meccanismi di difesa o di resistenze. In quell’ambito, la risposta dell’organismo, mascherata dalla compensazione o contrastata da fenomeni repressivi, si realizzava nel caricamento di un tessuto, un organo, una struttura che, a sua volta, restituiva segnali di disfunzionalità spastici, irritativi o dispercettivi. Tale modello conduceva ad un’Osteopatia dove trovavano ragione conclusioni ed interpretazioni deterministiche, come quelle che stabiliscono correlazioni dirette tra evento lesionale e disfunzioni d’organo, legittimando l’intervento secondo una concezione di tipo meramente allopatico.

E’, questo, un modello che resta in ogni caso valido e corretto dal punto di vista sia dell’ontogenesi, sia dell’omeostasi, poiché deve essere chiaro che ogni fenomeno è connesso alle varie forme d’energia processate dall’organismo, ma è altrettanto vero che una lettura causalistica o comunque lineare, in Osteopatia non è del tutto appropriata: le espressioni dell’organismo, siano esse istologiche, funzionali o emozionali, sono interpretate anche come l’emergere parallelo ed interscambiabile di segnali e di condizioni complessive che si esprimono in vari modi.

Ma, in Osteopatia, ha sempre avuto importanza il principio che le più recenti linee guida ravvalorano, cioè il concetto di unicità, secondo il quale ogni organismo vivente è sede di una serie di processi di auto-organizzazione basata sull’interazione e la comunicazione tra le strutture che lo compongono, oltre che dai continui processi d’interazione ambientale e la loro elaborazione, che ne determinano l’evoluzione. Il comportamento del sistema (organismo e organismo/ambiente) è paragonabile a quello di un network in grado d’auto-organizzarsi. Le forme più semplici ed universali di processo e d’interazione sono quelle correlate a fenomeni di contrazione-espansione: la prima si lega ai fenomeni d’elaborazione degli stimoli, di decodifica e di sintesi, la seconda ai fenomeni di risposta ed adattamento. Lo schema d’organizzazione è un fenomeno assimilabile ad un processo che si può definire di tipo mentale, poiché soggetto a meccanismi d’apprendimento che, a loro volta, determinano fenomeni autogeni di regolazione basati su dati esperienziali. Anche la singola cellula, un microrganismo o un’animale inferiore può sviluppare forme armoniche d’equilibrio o esprimere sintomi lesionali riguardo ad una o più funzioni; quello che varia è il grado di complessità del fenomeno d’adattamento/compensazione, cioè la molteplicità dei livelli ai quali può esprimersi l’evento lesionale e il conseguente processo d’autocorrezione che ha luogo, secondo il bisogno, a livello intracellulare, tissutale, organo/sistemico o psico/emotivo. E’ possibile, quindi, che una situazione lesionale possa essere individuata anche esclusivamente ad un solo livello, pur essendo l’espressione del disturbo di una funzione archetipica, fatta propria dal sistema e da questo utilizzata per il proprio funzionamento (adattamento). Il che vale a dire, da un punto di vista filogenetico, che stiamo osservando il risultato di una forma sempre più articolata delle scelte effettuate dal sistema, esitate in una serie di compensazioni strutturate a vari livelli. L’organizzazione osservata è, secondo l’interpretazione osteopatica, il risultato dell’elaborazione e dell’organizzazione di eventi patogeni successivi, essa stessa derivante dall’elaborazione di tutte le informazioni estero/propriocettive e della risposta del sistema biochimico dell’organismo.
La percezione e la rielaborazione dell’evento patogeno e le caratteristiche della reazione a detto evento, sono attuate e mediate in sede cerebellare dalle strutture più antiche e meno evolute (archicerebello) e sono caratterizzate dall’utilizzo di schemi coatti a livello organico e tissutale, che conducono a situazioni di cronicità e/o sub/cronicità interessanti gli apparati coinvolti nell’evento nocivo e riorganizzativo/adattativo complessivo di quel tipo di funzione biologica. Solo dopo questa necessaria digressione si può effettivamente e consapevolmente tornare a parlare di corrispondenza tra organo, funzione, lesione, e processi adattativi, giacché le localizzazioni del disturbo riguarderanno da un lato gli apparati che più rappresentano biologicamente le funzioni inibite, dall’altro gli orientamenti di base dell’organizzazione dell’adattamento spaziale. Per fare un esempio, una patologia del rachide può comportare una flogosi od un’anchilosi periferica che rappresenta un conflitto ed un tentativo di trovare un compromesso accettabile su un aspetto funzionale particolare come la locomozione e viceversa. Le manifestazioni alle quali possiamo assistere, a livello tissutale, presenteranno caratteristiche di contrazione funzionale centripeta (inibizione) o di manifestazione centrifuga (facilitazione) accennate innanzi; questo sta a dimostrare che nei sistemi complessi come quello umano, il fenomeno è mediato dai meccanismi propri del sistema neurovegetativo: potremo osservare, dunque, fasi espressive d’ipertono simpatico seguite da inversioni con prevalenza parasimpatica. Il ragionamento condotto sinora porta ad asserire che gli aspetti più conosciuti dell’Osteopatia, ossia quelli strutturali, viscerali o cranio/sacrali, sono epifenomeni dell’evento biodinamico.
La valutazione posturale, ad esempio, rappresenta in ogni caso una forma d’approccio senz’altro attuale e valida, oggettivante di particolari situazioni di squilibrio metabolico, così come le fasi d’ascolto percettivo fasciale e cranio/sacrale possono denunciare aspetti deficitarii dell’integrazione tra le parti. Anche sul piano posturale si possono individuare disturbi dell’integrazione tra le diverse unità, ad esempio tra i recettori podalici e il bacino, tra questo, le spalle, la base del collo e la mandibola, così come, a parte i casi secondari a traumi diretti, i setting craniale è (o può essere) interessato da situazioni distorsionali sottostanti. E’ chiaro che solo utilizzando una semeiotica adeguata, si possono individuare le alterazioni degli assetti ossidativi, ormonali, vibrazionali, distesici, immunologici, alle quali assegniamo il significato d’aspetto concomitante (e non di causa) di una disorganizzazione complessiva. A questo punto prende corpo, sia per l’Osteopatasia per il paziente, la necessità di condurre un’opera di riconnessione tra le parti e gli aspetti funzionali e percettivi. E’ fondamentale considerare sempre, alla luce dei presupposti scientifici, che la causa recondita d’ogni fenomeno patologico è un’alterazione dei meccanismi d’informazione e di comunicazione tra i vari aspetti costituenti l’organismo. Si tratterà allora di facilitare e saper leggere un percorso di cambiamento parallelo a vari livelli più che il tentativo d’individuare “qualche ingranaggio o elemento da aggiustare”. In una cefalea, la mancata integrazione tra l’assetto del bacino e quello della base cranica (per ritornare ad uno dei tanti possibili esempi) può essere correlabile ad un’alterata elaborazione degli aspetti viscerali; come si può facilmente dedurre, questo fatto potrà riverberare sul piano ormonale e contemporaneamente, potrà esprimersi anche in un contesto ortognatico, con un eventuale bruxismo e/o una parodontopatia da alterato carico masticatorio o una sindrome di Costen, nel coinvolgimento determinato dall’attivazione del sistema nocicettivo. La correzione di qualunque alterazione a tali livelli comporterà allora una mobilizzazione di effetti sugli altri. Per tale capacità di cogliere la dimensione organicistica ed energetica del sistema, l’Osteopatia deve considerare qualsiasi intervento sull’organismo, a livello distrettuale, energetico, strutturale, biochimico o mentale o altro ancora come un evento in grado di apportare un cambiamento del livello di auto- organizzazione dell’individuo. A qualsiasi livello avvenga, l’intervento osteopatico si riflette sulla riorganizzazione complessiva della persona. L’importante è saperlo e integrare nella propria tecnica o il proprio settore d’intervento l’eventuale collaborazione con altri specialisti.

Una visione olistica diventa allora presupposto necessario del trattamento osteopatico, che deve, inoltre, essere inserito in una prospettiva anche polidimensionale, con una significativa caratterizzazione strategica. Questo non implica la spersonalizzazione dell’ambito osteopatico, come vorrebbero far intendere alcune scuole di pensiero ma, al contrario, sottintende la necessaria esperienza e professionalità, da parte dell’Osteopata, nel promuovere un processo di sviluppo di integrazione interdisciplinare nell’interesse dei fruitori della sua opera.